La Corte di Cassazione, con sentenza n. 21093 del 7 ottobre 2014, ha riconosciuto la legittimità della giusta causa di recesso intimata ad un lavoratore che, durante l’assenza per malattia, aveva prestato la propria attività gratuitamente presso il negozio di un familiare.
Seguendo l’orientamento giurisprudenziale maggioritario, la Suprema Corte ha così confermato che l’attività svolta dal dipendente, per lo più non in modo saltuario ma sistematicamente, al di là della gratuità o meno, è causa di licenziamento se pregiudica la pronta guarigione.
Ed infatti, nel caso di specie, il lavoratore era regolarmente presente presso il negozio di casalinghi del fratello, svolgendo attività – quali la sistemazione della merce negli scaffali, la vigilanza sulla merce esposta, l’assistenza ai clienti dell’esercizio commerciale – che erano in contrasto con la denunciata patologia osteoarticolare (cervicobrachialgia da ernia discale) ed anche con la dedotta depressione, atteso che l’attività di sorveglianza “antitaccheggio” comportava la necessità di una costante focalizzazione dell’attenzione e di contatti anche antagonistici con persone non conosciute.
Ricorda infine la Corte che, nel caso di specie, grava sul datore di lavoro la prova circa lo svolgimento di altra attività lavorativa da parte del dipendente ammalato, mentre grava su quest’ultimo la prova che tale diversa attività lavorativa sia compatibile col suo stato di malattia e comunque coerente con gli obblighi pacificamente gravanti su di lui.
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