ABSTRACT
Il contratto a tempo determinato (ovvero a termine) prevede che le parti decidano di fissare un termine di durata al contratto di lavoro subordinato in deroga alla più comune forma del contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato; in riferimento al trattamento economico e normativo i lavoratori “a termine” sono comunque paragonabili a quelli a contratto indeterminato. In fase di cessazione del rapporto di lavoro, il lavoratore, se in possesso di elementi utili che dimostrino una non legittima apposizione del termine da parte del datore di lavoro, può trovarsi convertito il contratto di lavoro a tempo indeterminato (fatte salve le ipotesi risarcitorie dei danni subiti).
La legge regola tre tipologie di contratti a termine che si diversificano in relazione a determinate condizioni alla base della scelta del contratto:
- contratto a termine “tradizionale”;
- contratto a termine “acausale”;
- contratto a termine “per cause definite”.
Il D.Lgs. 34/2014 pronostica, per ogni contratto a tempo determinato, l’abolizione dell’obbligo di indicare le esigenze di carattere tecnico organizzativo produttivo che hanno indotto il datore di lavoro ad apporre un termine al contratto. Ciò significa che l’acausalità rappresenta non più una possibilità, ma la norma generale per l’instaurazione del contratto di lavoro a termine. Il Decreto Legislativo 81/2015 – attivo dal 25 giugno – nel riordino operato delle tipologie contrattuali, ha di nuovo disciplinato il contratto a termine, riformato dal D.L. 34/2014; le nuove regole confermano nella sostanza quanto disposto da quest’ultimo.
NOZIONE GIURIDICA
Non sono da considerarsi sotto disciplina del contratto a tempo determinato:
- i contratti a termine dei dirigenti;
- i rapporti a contenuto formativo caratterizzati da una durata definita (tirocini/stage);
- i contratti soggetti a specifica disciplina giuridica (il contratto di somministrazione a termine, il contratto a termine in agricoltura per gli operai, i contratti di servizi di durata non superiore a tre giorni nei settori del turismo e dei pubblici esercizi, i contratti instaurati con le aziende di esportazione, importazione e commercio all’ingrosso di prodotti ortofrutticoli).
> Per il calcolo dei limiti dimensionali dell’unità produttiva (ad esempio per l’esercizio dell’attività sindacale e/o per l’assolvimento dell’obbligo di riserva a favore dei disabili) sono computabili i lavoratori a tempo determinato assunti con contratto a termine superiore a 9 mesi. Al di sotto di tale termine, il lavoratore non viene computato.
LE TIPOLOGIE DEL CONTRATTO A TEMPO DETERMINATO
Come prima anticipato, vi sono tre tipologie di contratti a termine:
- contratto a termine “tradizionale”;
- contratto a termine “acausale”;
- contratto a termine “per cause definite”.
La legge consente in senso “tradizionale” di apporre un termine alla durata del rapporto di lavoro subordinato per ragioni di natura:
- tecnico;
- produttivo e organizzativo;
- sostitutivo.
Il Decreto di Legge 34/2014, con un cambio di rotta rispetto alla normativa precedente, prevede, per i contratti di lavoro a tempo determinato, l’abolizione dell’obbligo di indicare le esigenze di carattere tecnico organizzativo produttivo che hanno indotto il datore di lavoro ad apporre un termine al contratto. Il D.L. n.76 del 28 giugno 2013 (art.7) è intervenuto in materia di contratto a tempo determinato, apportando delle modifiche al D.Lgs. n.368/2001, su cui era già intervenuta la legge n.92 del 28 giugno 2012 (la riforma Fornero).
Il D.L 76 forniva la possibilità di concludere un contratto a tempo determinato (o di somministrazione a tempo determinato) senza causale nell’ipotesi di primo rapporto a tempo determinato di durata non superiore a dodici mesi. Si dava alla contrattazione collettiva il compito di individuare ogni altra ipotesi di acausalità, senza che ciò lo faccia rientrare (come previsto precedentemente) “nell’ambito di un processo organizzativo determinato dalle ragioni di cui all’art.5, comma 3, nel limite complessivo del 6% del totale dei lavoratori occupati nell’ambito dell’unità produttiva.” Con il D.L. 34/2014 è entrata in regime l’abolizione definitiva dell’obbligo di segnare la causale e quindi non è più necessario da parte del datore di indicare le esigenze di carattere tecnico, organizzativo e produttivo che lo hanno spinto ad assumere il lavoratore mettendo un termine al contratto di lavoro.
LA ACAUSALITÀ DIVENTA REGOLA
Il datore di lavoro che vuole assumere con un contratto a termine non deve più indicare le motivazioni della scelta con il rischio di vedere annullate dal giudice tali giustificazioni (con conseguente conversione del contratto in un contratto a tempo indeterminato) se risultanti troppo “deboli”.
L’ACAUSALITÀ
CONTRATTO A TERMINE DOPO IL D.LGS. 81/2015
La prima novità in merito al limite massimo di durata del contratto a termine è che la durata massima del singolo contratto e della sommatoria dei contratti è invariata rispetto al passato e pari a 36 mesi; nella norma previgente si usava la nozione di mansioni equivalenti.
Al momento la formulazione si sancisce che il computo della sommatoria vada effettuato in riferimento ai contatti per lo svolgimento di mansioni di pari livello e categoria legale. È quindi oltrepassato il principio dell’equivalenza ex art. 2013 c.c., alla luce del riordino della affermata nuova “variabilità” delle mansioni. Il comma 3 dell’art.19 del D.Lgs. 81/2015 permette al datore di lavoro, che ha raggiunto il limite massimo di 36 mesi per sommatoria, di stipulare un ultimo contratto, per il medesimo livello di inquadramento, di durata non superiore a 12 mesi. Non è invece più prevista la delega diretta alla contrattazione per la definizione della durata massima del contratto ulteriore. Tale limite di 12 mesi può essere applicato salvo intervento della contrattazione collettiva in materia. Raggiunti i limiti massimi non è più possibile usare la prosecuzione del contratto oltre la scadenza, oggi regolamentata dall’art. 22 del D.Lgs. 81/2015, per periodi fino a 30/50 giorni a seconda della durata dell’ultimo contratto, inferiore a 6 mesi o da 6 mesi in su. In caso contrario il contratto si trasforma in contratto a tempo indeterminato.
L’art.20 del D.Lgs. 81/2015 sancisce il divieto di usare il contratto a termine (la violazione comporta la trasformazione del medesimo in contratto a tempo indeterminato):
- in sostituzione di lavoratori che esercitano il diritto di sciopero;
- in unità produttive dove, nei 6 mesi precedenti si è proceduto a licenziamenti collettivi che hanno riguardato lavoratori adibiti alle stesse mansioni cui si riferisce il contratto a tempo determinato; nella fattispecie la norma non può essere derogata con accordi sindacali. Rimane ferma la possibilità di assumere con contratti di durata non superiore a tre mesi, ovvero in sostituzione di lavoratori assenti o, infine, per assumere lavoratori iscritti alle liste di mobilità;
- in unità produttive nelle quali si è operata una sospensione del lavoro o una riduzione dell’orario in regime di CIG, per lavoratori adibiti alle stesse mansioni cui si riferisce il contratto a tempo determinato;
- in assenza del documento di valutazione dei rischi in applicazione della normativa sulla igiene e sicurezza sul lavoro.
Per i lavoratori stagionali, si conferma l’esclusione dell’applicazione della regola dei 36 mesi per le sommatorie e l’esclusione degli intervalli obbligatori fra un contratto e l’altro di 10 o 20 giorni a seconda della durata del primo contratto.
In merito ai limiti quantitativi di utilizzo, oltre una diversa impostazione della norma rispetto alla disciplina previgente, l’art.23 del D.Lgs. 81/2015 consente anche alla contrattazione di livello aziendale, con le rappresentanze interne o, se non previste, con le oo.ss. territoriali, di intervenire sui limiti quantitativi oltre il limite legale del 20%. Si escludono dal computo del 20% i lavoratori di età superiore a 50 anni. Il superamento dei limiti quantitativi non comporta la trasformazione a tempo indeterminato, ma solo l’applicazione di una sanzione amministrativa.
Per quanto riguarda i criteri di computo l’art.27 del D.Lgs.81/2015 fissa la regola per la quale, salvo diverse espresse discipline, occorre tenere in considerazione il numero medio di lavoratori a tempo determinato, compresi i dirigenti, impiegati negli ultimi due anni, sulla base dell’effettiva durata dei loro rapporti di lavoro.
LA SOGLIA NUMERICA
I contratti a termine senza causale possono essere stipulati a condizione che i medesimi rispettino determinate soglie numeriche. Secondo la nuova disciplina i contratti a termine non possono eccedere la soglia del 20% dell’organico complessivo calcolato sulla media mensile di lavoratori a tempo determinato, compresi i dirigenti, impiegati negli ultimi due anni, sulla base dell’effettiva durata dei loro rapporti di lavoro. Sono compresi nella base di calcolo anche i lavoratori assunti con contratto ad orario ridotto (part-time) ed in quanto non espressamente esclusi dalla legge, i dirigenti.
Non concorrono invece al raggiungimento della soglia del 20% i contratti di lavoro in somministrazione nonché i contratti stipulati per ragioni sostitutive, quelli per esigenze stagionali, i contratti stipulati per l’avvio di nuove attività e quelli stipulati con lavoratori over 50. Il limite del 20% può essere derogato, aumentato o ridotto, dai contratti collettivi nazionali di lavoro; nello specifico non vengono considerati i contratti di secondo livello.
Il superamento della soglia è oggetto a regime sanzionatorio; il precedente regime prevedeva sanzioni differenti sia per il superamento dei limiti quantitativi previsti dalla contrattazione collettiva, sia per irregolarità del contratto a seguito di una “giustificazione” del termine ritenuta dal giudice troppo “debole”. Naturalmente nella nuova formulazione del contratto a termine, essendo decaduto l’obbligo della causale, il regime sanzionatorio, che consisteva nella trasformazione a tempo indeterminato del rapporto a termine per l’assenza della medesima è conseguentemente decaduto. La legge introduce una sanzione amministrativa per il superamento dei limiti quantitativi al di sopra della soglia del 20% (o della soglia fissata dalla contrattazione collettiva). La sanzione è pari al 20% della retribuzione per ogni mese di durata del rapporto di lavoro del primo lavoratore assunto al di sopra del limite (o frazione uguale o superiore a 15 giorni); la sanzione sale poi al 50% per tutti i lavoratori assunti in eccedenza successivamente al primo.
LA DURATA DEL CONTRATTO A TERMINE E IL REGIME DELLE PROROGHE
La durata massima del singolo contratto e della sommatoria dei contratti è invariata rispetto al passato e pari a 36 mesi; nella norma previgente si utilizzava la nozione di mansioni equivalenti. L’attuale formulazione sancisce che il computo della sommatoria deve essere effettuato in riferimento ai contratti per lo svolgimento di mansioni di pari livello e categoria legale. In merito ai rapporti instaurati, il termine massimo a tempo determinato resta fissato in trentasei mesi. Si computano in tale periodo tutti i periodi lavorati comprensivi di deroghe e i rinnovi effettuati per mansioni di pari livello e categoria legale. Il datore di lavoro può superare il limite di trentasei mesi se le mansioni svolte dal medesimo dipendente risultassero diverse, in termini di livello e categoria legale, da quelle precedentemente svolte. Per i dirigenti la legge fissa il tetto massimo di 60 mesi. Il termine di trentasei mesi può essere modificato con l’intervento della contrattazione collettiva.
Alla fine dei 36 mesi è consentito al datore di stipulare un ultimo contratto, per il medesimo livello di inquadramento, di durata non superiore a 12 mesi. La sanzione per il superamento della durata massima del contratto è la “conversione” del rapporto a termine in contratto di lavoro a tempo indeterminato; non si applicano poi le stesse sanzioni previste per lo “sforamento” del limite quantitativo. Come in precedenza è previsto che il contratto a termine può essere prorogato prima della scadenza, ovvero rinnovato al termine.
PROROGHE
Al momento, la normativa prevede un numero di proroghe da effettuare nell’arco temporale di trentasei mesi, pari a cinque. La proroga prescinde dalla motivazione, per cui non vi è obbligo di indicare la motivazione scritta della proroga, ma è necessario rispettare il limite massimo della durata di 36 mesi. Il limite di tali proroghe non incide sui rinnovi di contratto: un contratto a termine che ha subito cinque proroghe nell’arco temporale dei trentasei mesi, può essere rinnovato, con il rispetto degli intervalli temporali ed il medesimo lavoratore può fruire di altre cinque proroghe derivanti dal nuovo contratto di lavoro a termine.
SUCCESSIONE DEI CONTRATTI
Qualora ci fosse un caso di riassunzione di un lavoratore a termine, è previsto che il secondo contratto si considera a tempo indeterminato nel caso in cui il lavoratore venga riassunto a termine entro 10 giorni dalla scadenza di un contratto di durata fino a 6 mesi, o 20 giorni se supera i 6 mesi. L’intervallo di tempo che deve intercorrere fra il primo contratto (non superiore a sei mesi) e il secondo, è di dieci giorni. Nel caso di contratto a termine superiore a sei mesi, l’intervallo tra il primo e il secondo, affinché quest’ultimo non venga considerato a tempo indeterminato è di 20 giorni.
Tale previsione non va applicata ai lavoratori impiegati in attività stagionali e alle ipotesi individuate dalla contrattazione collettiva. I contratti collettivi possono ridurre i predetti intervalli minimi se stipulati dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale.
I contratti collettivi possono diminuire i predetti intervalli minimi, qualora siano stipulati dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentativi sul piano nazionale. Superamento della durata massima complessiva del rapporto – Se, per effetto della successione di contratti a tempo determinato per lo svolgimento di mansioni equivalenti, il rapporto di lavoro tra le medesime parti supera complessivamente i 36 mesi (computando anche proroghe e rinnovi), indipendentemente dai periodi di interruzione intercorrenti fra un contratto e l’altro, il medesimo rapporto si considera a tempo indeterminato a decorrere dalla scadenza dei 36 mesi.
Eccezione: può essere stipulato un ulteriore contratto a tempo determinato fra le stesse parti se il contratto viene sottoscritto alla DTL competente con l’assistenza o con mandato del lavoratore conferito ad un rappresentante di una delle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale. Se la procedura non viene rispettata o viene superato il termine stabilito nel successivo contratto, il medesimo si intende trasformato a tempo indeterminato. Sono fatte salve le diverse disposizioni di contratti collettivi stipulati a livello nazionale, territoriale o aziendale con le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale.
La disciplina sopra descritta non si applica alle attività stagionali ed a quelle che saranno poi definite dai CCNL.
Divieto di stipulare il contratto a termine – È inammissibile il contratto a termine nelle unità produttive dove nei sei mesi precedenti si sia proceduto a licenziamenti collettivi riguardanti lavoratori adibiti alle medesime mansioni. È comunque ammissibile la stipula del contratto a termine, anche in presenza di licenziamenti collettivi in caso di:
- accordo sindacale in deroga
- sostituzione di lavoratori assenti
- assunzione di lavoratori provenienti dalle liste di mobilità
- contratto di durata iniziale non superiore a tre mesi
– Contratto di lavoro a termine delle Start up innovative
– per le start up innovative, ovvero le società che hanno quale oggetto sociale esclusivo o prevalente, lo sviluppo, la produzione e la commercializzazione di prodotti o servizi innovativi ad alto valore tecnologico, il contratto a termine stipulato per lo svolgimento di attività inerenti o strumentali all’oggetto sociale della stessa è considerato per presunzione legale sostenuto da ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo (giustificative della stipulazione del contratto a termine “tradizionale”).
– in tal caso il contratto a termine è esente da limiti quantitativi. Il contratto può venir stipulato per una durata minima di 6 mesi ed una massima di 36 mesi; può anche essere stipulato per una durata inferiore a 6 mesi. È possibile stipulare più contratti a termine con lo stesso lavoratore nel rispetto del limite massimo complessivo di durata di 36 mesi.
A differenza di quanto previsto per la generalità dei contratti a termine, i contratti successivi possono essere stipulati, per le medesime attività, senza la necessità di rispettare un intervallo minimo tra un contratto e l’altro o anche senza soluzione di continuità. Inoltre, in deroga al predetto limite di durata massima di 36 mesi, può essere stipulato presso la DTL competente, un ulteriore successivo contratto a tempo determinato fra gli stessi soggetti e sempre per lo svolgimento delle uguali attività, per il periodo mancante al raggiungimento del periodo massimo di applicabile.
CONTRATTO A TERMINE “PER CAUSE DEFINITE”
Il contratto a termine per cause predefinite deve essere previsto dalla Contrattazione Collettiva nell’ambito di specifici processi produttivi sanciti dalla legge:
- avvio di una nuova attività
- lancio di un prodotto o di un servizi innovativo
- implementazione di un rilevante cambiamento tecnologico
- fase supplementare di un significativo progetto di ricerca e sviluppo
- rinnovo o proroga di una commessa consistente
La previsione deve essere dunque racchiusa nei CCNL stipulati dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale in via diretta (a livello interconfederale o di categoria) o delegata (ai livelli decentrati). In tal caso il datore di lavoro è dispensato dall’obbligo di indicare nel contratto individuale la ragione giustificatrice del termine, limitandosi a richiamare l’ipotesi predeterminata che ricorre nel caso concreto. Il fatto che la contrattazione collettiva abbia autorizzato l’uso di questa tipologia di contratto preclude al datore di lavoro il ricorso al contratto “acausale”. La stipulazione di tale tipologia di contratto deve rispettare il limite complessivo del 6% del totale dei lavoratori occupati nell’ambito dell’unità produttiva.